ANNO 14 n° 119
Livingstone in salotto Perdersi
>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<
11/05/2015 - 00:00

di Massimiliano Capo

VITERBO - Oggi che scrivo (è domenica ed è passata da poco l’una) è il mio compleanno.

E allora apro un libro a caso tra quelli che ho davanti per trovare una piccola idea su cui impegnare le prossime trenta righe e trovo scritta questa cosina che calza a pennello con la giornata.

A John Cage ho già accennato.

In una conversazione rilasciata per i suoi settant’anni, al solerte intervistatore dettò: “Il mio atteggiamento nei confronti della vecchiaia è un atteggiamento di gratitudine per ogni giorno in più….Non c’è da perder tempo. Niente stupidaggini.

Quindi se ero solito trascorrere molto del mio tempo andando a funghi, di recente ho ini-ziato a interessarmi al giardinaggio d’appartamento. Ora tendo a fare molte più cose con-temporaneamente. Sono sempre alla ricerca di nuovi modi per usare la mia energia, ma continuo nel frattempo le altre attività.”

E ancora: ''Se non hai abbastanza tempo per completare qualcosa, considera il lavoro finito non appena lo hai iniziato. Sembrerà dunque come la Venere di Milo che se la cava abbastanza bene anche senza un braccio''.

Tipo, una vita punk.

Tipo, quella che mi piacerebbe fare.

A proposito di punk è arrivata Giorgia che vuole vedere i cartoni.

Fuori c’è il sole. La primavera è finalmente arrivata e secondo i meteorologi ci aspetta una estate caldissima.

C’è una poesia di E.E. Cummings che si intitola oh dolce e spontanea terra.

Recita così: “pizzichiamo e frughiamo il tuo corpo e tu ci rispondi solo con la primavera.”

Bifo, che per chi non lo sapesse è un filosofo che molto ha ragionato sulla contemporaneità, ha scritto una cosa sulle diverse dipendenze da sostanze psicoattive mettendo le prime in connessione diretta con il modello economico con cui abbiamo a che fare ogni giorno.

Un ragionamento complesso che meriterebbe altro spazio e altre competenze.

Riporto solo la conclusione del ragionamento: ''Sappiamo che le distinzoni disciplinari tra scienze della mente e scienze del divenire storico appartengono al passato, ma un sapere pratico che parta da questa coscienza e si proponga di abbattere la fabbrica presente dell’infelicità, è tutto da costruire''.

Tralasciando i toni apocalittici e quel senso di già sentito che risuona in queste pochissime righe; facendo finta di non considerare che per quanto infelici questi sono tempi molto più felici di altri, resta ancora senza risposta la domanda della vita: come possiamo essere felici?

E prima ancora: possiamo essere felici?

Ecco, possiamo. Anche nel casino di questo tempi di crisi, possiamo essere felici.

E la soluzione è nel praticare la grazia, la gentilezza, il sorriso, come strumenti del cam-biamento. Dice Simone Weil: “Questo mondo è la porta chiusa. E’ una barriera e nello stesso tempo è il passaggio”.

Avete presente il ritornello? Cosa c’entra il ritornello ora? - direte voi, miei venti lettori.

Abbiate pazienza, solo un po’.

Dicevo il ritornello: quello a cui affidiamo il nostro rassicurarci quando abbiamo paura.

Quello che cantiamo per distrarci dall’ansia, per pensare ad altro.

Quello che ci aiuta ad immaginare una stanza tutta per noi e bella bella al riparo dall’immensità dello spazio cosmico che talvolta ci appare troppo grande da poterlo tenere tutto insieme con gli occhi.

Ecco, il ritornello. Quello che secondo Deleuze definisce la musica come ''una avventura (di un ritornello)''.

''La musica è l’operazione attiva, creatrice, che consiste nel deterritorializzare il Ritornello''.

Che poi alla fine vuol dire che siamo tutti dentro un grande flusso di energie in continua trasformazione e che ogni stato è mutevole e che non si diviene per filiazione ma conta-giandosi, propagandosi epidermicamente, travasandosi gli uni negli altri.

E allora con la felicità, la sua possibilità, la grazia, la gentilezza, il ritornello, la macchina ritornello, questa potente metafora musicale, c’entra e come se c’entra.

E l’affetto, l’amore, diventano così “la potenza di una muta, che solleva e fa vacillare l’io''.

Tipo quando guardi negli occhi verdazzurri la ragazzina dai capelli chiari e “ogne lingua deven, tremando, muta, e li occhi no l’ardiscono di guardare”.

Persi e un po’ smarriti ma così felici da non voler mai più trovar la rotta.





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